L’AQUILA – I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria dell’Aquila, impegnati nell’operazione “Dirty Job”, stanno eseguendo sette ordinanze di custodia cautelare (quattro in carcere e tre agli arresti domiciliari), emesse dal Gip Marco Billi, nei confronti di altrettanti imprenditori, operanti nella ricostruzione post-terremoto, per i reati, a vario titolo, di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. I provvedimenti sono l’esito di una complessa indagine, diretta dalla Dda del capoluogo abruzzese, sull’infiltrazione dei Casalesi nel tessuto economico aquilano e, in particolare, nei cantieri della ricostruzione degli edifici privati danneggiati dal terremoto del 6 aprile 2009.

L’attivita’ investigativa, coordinata dal procuratore della Repubblica Fausto Cardella e dal sostituto David Mancini, e’ stata svolta dal Gruppo investigazione criminalita’ organizzata del Nucleo di polizia tributaria dell’Aquila, con l’ausilio del Servizio centrale investigazione criminalita’ organizzata di Roma. In corso di esecuzione, contestualmente, alcune decine di perquisizioni nei confronti di imprenditori coinvolti nella vicenda oggetto di indagine, nelle province di L’Aquila, Caserta e Roma con l’impiego di circa 150 finanzieri appartenenti a diversi Reparti.

I sette provvedimenti restrittivi sono stati firmati dal Gip Marco Billi e riguardano altrettanti imprenditori, operanti nella ricostruzione post-terremoto, per i reati, a vario titolo, di “contiguita’ con il clan dei casalesi”, estorsione aggravata dal metodo mafioso, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Ai domiciliari sono finiti Elio Gizzi, ex presidente dell’Aquila calcio, attuale amministratore e direttore generale della societa’, e i fratelli Dino e Marino Serpetti. Destinatari di misure cautelari in carcere sono invece Alfonso, Cipriano e Domenico Di Tella e Michele Bianchini. Gli imprenditori sono tutti aquilani a eccezione di Bianchini, originario di Avezzano (L’Aquila). I dettagli dell’operazione sono stati illustrati nel corso di una conferenza stampa, presente anche il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Gli investigatori dello Scico di Roma delle Fiamme gialle e del Gico dell’ Abruzzo hanno appurato come per massimizzare i profitti nei milionari appalti della cosiddetta ricostruzione privata i sette imprenditori coinvolti nell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia dell’Aquila si rivolgevano alla camorra, in particolare al clan dei Casalesi, per farsi procurare le maestranze a basso prezzo. I guadagni degli operai formalmente assunti con regolare contratto venivano poi dagli stessi restituiti con versamenti al bancomat.

Secondo il sostituto procuratore della Dda dell’ Aquila, David Mancini, che ha seguito l’ inchiesta, sono almeno una decina i cantieri finiti sotto la lente di ingrandimento della Procura, per un giro d’affari stimato attorno ai 10 milioni di euro. Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, nel corso della conferenza stampa ha auspicato un controllo sulla bonta’ dei lavori edili eseguiti dai Di Tella e il sequestro per equivalenza dai conti correnti degli indagati delle somme indebitamente sottratte alle maestranze per essere cosi’ compensato il maltolto. Dagli accertamenti emergerebbe che gli operai restituivano il 50% dello stipendio.

Terremoto: Roberti su infiltrazioni mafiose, norme deboli

“La vera forza delle mafie sta fuori dalle mafie, in quella zona grigia che le circonda, e assume rapporti a scopo di profitto”. Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, nel corso della conferenza stampa all’Aquila che ha portato all’arresto di sette persone tra cui imprenditori aquilani che si erano legati al clan dei Casalesi (boss Michele Zagaria). “Oggi – ha aggiunto Roberti – non parleremmo di infiltrazioni se non ci fossero alcune imprese che, dopo aver acquisito dei lavori, li hanno appaltati in toto alle imprese criminali tramite i Di Tella”. Parlando delle norme sulla ricostruzione privata Roberti ha detto: “L’insufficienza dei controlli e’ stata agevolata da un quadro normativo molto debole non affidato a norme vincolanti ma a linee guida puntualmente disattese”.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori dello Scico e del Gico dell’Aquila, gli imprenditori aquilani avrebbero percepito il 30 per cento degli appalti senza fare nulla, ovvero per il semplice fatto di esserseli aggiudicati mentre il 70 per cento andava ai Di Tella che provvedevano poi a realizzarli. Roberti infine ha fatto notare che “non ci sono atti violenti, ma solo intimidazioni a cedere indietro una parte del guadagno che andava a comporre fondi neri. Ma c’era l’accordo di tutti – ha proseguito – i lavoratori venivano presi, portati qui a lavorare e poi costretti a restituire una parte dei loro legittimi guadagni al clan e agli imprenditori”.

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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