Le consistenti precipitazioni nevose ed i tragici episodi di questi giorni riportano l’attenzione su un fenomeno spesso trascurato sull’Appennino, ma che in una regione montuosa come l’Abruzzo deve essere tenuto in debito conto e non solo per gli aspetti legati alla pratica dello sci, ma in gran larga parte del territorio, in specie per i versanti più acclivi al di sopra dei 1000-1200 mslm.

Citiamo come esempio la strada che collega l’uscita autostradale di Tornimparte alla Piana ed agli impianti di sci di Campo Felice, sia ad alto rischio valanghe e dove le strutture (paravalanghe) di prevenzione sono anacronistiche, non sono affatto adeguate e sufficienti.

Aggiungiamo la strada del Vasto, dall’uscita Autostradale di Assergi al Passo delle Capannelle, che porta al Borgo di San pietro alla Jenca dove è situato il Santuario dedicato al Beato Giovanni Paolo II, oggetto del furto sacrilego, che necessita, per un uso continuativo anche nei mesi invernali di un sistema di protezione al quale nessuno ha mai meso mano preferendo “chiudere” al transito l’arteria.

L’Associazione Nazionale Difesa del Suolo, che annovera tra i propri Soci tecnici qualificati ed esperti di settore ha più volte evidenziato l’esigenza di una Carta Regionale del Rischio Valanghe uno strumento, indispensabile in area montana, di pianificazione territoriale per gli insediamenti antropici, per le infrastrutture, ma anche per la migliore gestione delle aree protette, delle aree turistiche, sia per la pratica sportiva che per l’escursionismo invernali.

Vanno rilevate ed individuate puntualmente tutte le aree sottoposte a rischio valanghe con criteri omogenei che consentano una corretta individuazione del rischio.
Occorre innanzitutto prevedere un Catasto delle Valanghe con la trascrizione su cartografia in scala degli eventi storici segnalati e osservati sia dal Corpo Forestale che dalle popolazioni. Utile in tal senso le ricerche storiche e le testimonianze reperibili presso i centri montani.

I dati sugli eventi registrati nel passato vanno integrati con una analisi territoriale che individui i versanti a rischio in prossimità di centri abitati, infrastrutture produttive e di comunicazione, di impianti ricettivi e turistico sportivi.

Il tutto va raccolto e sintetizzato in una carta tematica, la Carta Regionale del Rischio Valanghe, appunto, che segnali le zone per livello di rischio e pericolosità, costituendo un utile strumento per la programmazione degli interventi di messa in sicurezza, la pianificazione e lo sviluppo.

Diversamente c’è il rischio, come accade per molti fenomeni di dissesto idrogeologico, che le opere siano realizzate solo dopo l’evento catastrofico, senza una concreta azione di previsione, prevenzione con riduzione programmata dei rischi.

Lo strumento cartografico costituirebbe un utile supporto per valutare i rischi attuali e provvedere ad un piano di messa insicurezza dell’esistente anche attivando fondi comunitari per la sicurezza delle aree montane e dei centri minori.

Non si può costruire, tracciare una strada, svolgere un’attività turistica sotto un versante a rischio valanga; e sono molti i siti in Abruzzo nei quali insediamenti e strutture viarie sono stati realizzati nel tempo senza tenere conto del pericolo ogni inverno immanente e della memoria “storia” delle valanghe degli ultimi due scoli.

L’esperienza degli avi ha fatto si che i centri montani siano arroccati in posizione sicura, ma non altrettanto si può dire per le aree di espansione, produttive, le nuove strade, non escluse quelle che collegano i centri turistici invernali e gli impianti di sci.

Se la conosci la eviti; vale anche per la valanga, ma purtroppo non sono mai stati messi in campo studi ed indagini adeguate per la completa conoscenza del territorio montano e dei rischi connaturati alle precipitazioni nevose.

Per non parlare gli interventi di protezione.
Nel passato le opere di forestazione hanno garantito un minimo di protezione ai centri abitati; oggi non si interviene sulla montagna se non sporadicamente, e con modalità diversificate e non sempre adeguate.

Il più efficace, sicuro e duraturo sistema di protezione è costituito oggi dalle reti fermaneve in acciaio, ma spesso, un malinteso protezionismo e vincoli assurdi hanno comportato l’uso di “rastrelliere” in legno, inadeguate e marcescibili, o cannoni a gas che necessitano dell’intervento attivo dell’uomo.

Non ultimo, debbono crescere le competenze professionali, di tecnici ed imprese, e la stessa Università dovrebbe favorire lo studio dei fenomeni valanghivi e dei rischi in area montana affinché anche in Abruzzo crescano professionisti qualificati e specializzati sulle emergenze in area montana senza dover ricorrere, come spesso accade. alle esperienze maturate in ambito alpino, non riproponibili alle nostre latitudini.

La messa in sicurezza della montagna costituisce un importante volano per lo sviluppo del territorio socio economico, in particolare dei centri montani e dell’economia legata alla pratiche sportive ed al godimento della natura, che favorisca un turismo sempre più esigente che con la qualità dell’ambiente chiede infrastrutture adeguate e protette dai rischi naturali.

*Presidente Nazionale A.Di.S.

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