L’AQUILA – Una struttura nata senza fini di lucro e con propositi innovativi (fare ricerca a beneficio della PA e del tessuto produttivo abruzzese) trasformatasi, a un certo punto, nel più classico dei carrozzoni italiani usati dai propri dirigenti per fare la cresta sui fondi pubblici. A leggere le cronache giudiziarie di questi giorni, sembrerebbe che il Parco Scientifico e Tecnologico d’Abruzzo non sia stato nient’altro che questo.

Una rappresentazione incompleta, a dire il vero, e di certo poco lusinghiera per quei lavoratori che, in buona fede,  credettero invece nella bontà del progetto.  “Ho letto le notizie apparse in questi giorni sui giornali” ci racconta uno di essi, un’ex ricercatrice “e quello che ho notato, con un po’ di rammarico, è che gli organi di stampa hanno dimenticato di dire alcune cose, come ad esempio la lunga battaglia che i lavoratori e le lavoratrici del Parco fecero a suo tempo allorché il Parco stesso cominciò ad avere sofferenze economiche e rapporti difficili con la Regione. Il Parco, voglio ricordarlo, aveva rapporti di lavoro con la Regione, l’università e anche con i privati e svolgeva attività di innovazione tecnologica e servizi a valore aggiunto per il territorio e le imprese che su di esso operavano. Per un certo periodo di tempo il progetto funzionò. Poi, per ragioni inerenti alla politica e ai rapporti conflittuali creatisi fra i soci, molte cose iniziarono a cambiare. E a quel punto furono i lavoratori e le lavoratrici a pagarne le conseguenze”.

Cioè, cosa accadde? “Ci fu una lunghissima battaglia, anche sindacale, proprio sui rapporti che la struttura intratteneva con la Regione. Cercammo di convincere quest’ultima che il Parco era un ente in cui lavoravano persone preparate, motivate e competenti,  la cui volontà era quella di mettere a disposizione le proprie conoscenze e il proprio know how a beneficio del territorio. Pian piano, però, i contratti non furono più rinnovati e una struttura che era partita con più 100 ricercatori finì per ritrovarsi con meno di 20 dipendenti. Tant’è che alcuni di noi hanno ancora vertenze sindacali in corso”. E l’inchiesta?  “Preferisco non parlarne. Quello che posso dire è che sono molto amareggiata; che, fintanto che ho lavorato lì, non ho mai avuto sospetti sul modo in cui operavano i nostri capi e che mai mi sarei mai aspettata che potesse succedere tutto questo”.

(R. C.)

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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