L’AQUILA – L’orso bruno marsicano da anni sta correndo un grave rischio d’estinzione ma in proposito è stato fatto ben poco. Un altro allarme, pienamente condiviso da Lega Nazionale per la Difesa del Cane, è stato lanciato dall’associazione ”Salviamo l’Orso”. Un allarme che punta il dito sulla tubercolosi e sull’inadeguatezza di appropriate misure per combattere le possibilità di contagio. La preoccupazione trova concorde l’Ente Parco Nazionale dAbruzzo, Lazio e Molise fin dal 2012, quando un primo focolaio di TBC si sviluppò in un allevamento di Gioia dei Marsi (AQ). La malattia non fu sradicata dal territorio determinando come conseguenza la morte di almeno un esemplare di questo fiero plantigrado avvenuta nel marzo dello scorso anno, una femmina in età riproduttiva la cui perdita andò a incidere su una popolazione già ridottissima.

Nel complesso siamo di fronte a una situazione sconcertante, nella quale le stesse istituzioni interessate rigettano ogni possibile personale responsabilità, addebitandole a terzi o a circostanze fortuite. Il presidente dell’Ente Parco Antonio Carrara in una sua dichiarazione oltre a offrire la massima disponibilità a collaborare affermava di aver sollecitato le amministrazioni interessate. Fin dalla prima riunione, svoltasi presso il Comune di Gioia dei Marsi, in accordo con il sindaco, il Parco aveva posto ai servizi veterinari della ASL il problema di effettuare i controlli sanitari sugli animali così come prevede la legge. La richiesta di sospendere il pascolo in alcune aree per ragioni precauzionali, fortemente voluta dal Parco, nel corso di incontro svoltosi al Ministero della Salute su iniziativa della Regione Abruzzo nel mese di maggio del 2014 e fatta propria dal Ministero, non fu però ritenuta opportuna dai servizi veterinari. Al contrario la necessità di effettuare i dovuti controlli sanitari era particolarmente urgente in quanto sul territorio di Gioia un allevamento di bovini di oltre 100 capi aveva perso la qualifica di ufficialmente indenne già dal 2013, visto che i servizi veterinari non avevano potuto effettuare i controlli sanitari previsti per legge a causa del pascolo brado mentre l’ordinanza del Sindaco, che obbligava l’allevatore a eseguirli, era rimasta di fatto senza esecuzione.

Le evidenti problematiche legate a un’azione di recupero degli animali al pascolo e di controlli sanitari da parte della ASL, avviata dal maggio dell’anno scorso, ha portato, nel corso del mese di agosto, a evidenziare un nuovo caso di TBC bovina.

Lega Nazionale per la Difesa del Cane è particolarmente impensierita e appoggia l’Ente Parco nella richiesta di una soluzione al problema che, se verrà ulteriormente trascurato, potrebbe attentare seriamente alla sopravvivenza dei 50 orsi superstiti. La richiesta si articola nei seguenti punti:

1) chiudere al più presto il focolaio di TBC ancora aperto e prendere ulteriori misure per evitare il ripetersi di situazioni simili.

2) vietare la pratica del pascolo brado, attualmente consentita da una norma regionale, perché non si concilia con le esigenza di una corretta gestione della zootecnia e dell’area protetta.

3) proibire la pratica, diffusa in aree fuori Parco, di lasciare all’aperto e incustodite risorse alimentari che creano una promiscuità tra fauna selvatica e animali domestici.

4) interdire il pascolo nei territori frequentati da animali risultati positivi alla TBC per un periodo necessario al loro risanamento.

5) garantire una sorveglianza sanitaria sulla fauna selvatica atta a prevenire il diffondersi di malattie letali per l’orso marsicano.

Purtroppo al momento non solamente questi punti sono stati disattesi ma svariati capi di bestiame potenzialmente infetti risulterebbero dispersi, nonostante le leggi vigenti e la necessità di una tutela anche della salute umana.

L’auspicio di Lega Nazionale per la Difesa del Cane è che le parti interessate si riuniscano al fine di mettere in pratica un piano di bonifica che esiste sulla carta ma non è mai stato attuato.

Michele Di Leva – Responsabile Caccia e Fauna selvatica LNDC

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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