L’AQUILA – Sappiamo che le pagine sportive raccontano ogni settimana le imprese che più coinvolgono l’interesse del pubblico.
Così, molte notizie riguardano le squadre di calcio, e non solo quelle della serie A, ma anche le altre, quelle il cui pubblico è spesso poco più che locale. Il calcio, si sa, coinvolge tutti gli italiani e tutti, anche quelli che non hanno mai colpito un pallone, si sentono esperti e coinvolti.
Si trovano anche gli altri sport, certo: specialmente quelli che hanno appena ottenuto qualche importante risultato, trovano spazio nella cronaca sportiva, ma non sempre, non tutti i giorni, non con la stessa frequenza del calcio e questo, forse, perché tolto il calcio, degli altri sport si appassiona quasi soltanto chi lo pratica e lo “soffre”.
Nel 2014 la nostra società, la Polisportiva Arti Marziali, compie trentacinque anni di attività sportiva appassionata e ininterrotta e vuole festeggiarla. Nel 2009 si preparava a dare inizio ai festeggiamenti per il trentennale quando la ormai ben nota scossa del 6 aprile ha stravolto i suoi piani.
Domenica 25 maggio si è conclusa per gli atleti della PAM di tutte le categorie la stagione agonistica 2013/2014 con due importanti appuntamenti, entrambi svoltisi a Roma: la Coppa Wado Kay, di karate stile Wado Ryu, riservata agli atleti delle classi agonistiche, e l’incontro finale del Trofeo Assoluto AMI.
In entrambi gli appuntamenti, gli atleti della PAM si sono distinti per l’impegno e l’abilità. In entrambi hanno ottenuto risultati di rilievo: l’oro di Lina Lin nel kata individuale e il bronzo nel kumite individuale di Lina Lin e Niccolò Pernié nella coppa Wado Kai, nella quale i due giovani atleti hanno saputo farsi notare dai tecnici della Nazionale per una eventuale convocazione a novembre in occasione della Coppa Europa; l’argento di Lina Lin e Alessandra Battistini e il bronzo di Useme Ben Salah nel kumite, il bronzo di Lina Lin, Alessandra Battistini e Lucia Gattone nel kata individuale e la bella prova dei piccoli Luca Di Michele (7 anni), Daniele Di Maio (8 anni) e Valeria Martinelli (11 anni) nel kata e kumite individuale categoria ragazzi all’incontro finale del Trofeo Assoluto AMI.
Questa sarebbe la notizia da consegnare alle pagine sportive di questa settimana, con la speranza che venga pubblicata. Questo dovrebbe essere il comunicato da inviare ai giornali, come tante altre volte è avvenuto, in questi 35 anni di sudore e successi.
Non c’è, in un comunicato stampa, l’entusiasmo, la tensione, l’impegno, il timore, la meraviglia dell’atleta.
Oggi, vogliamo dare inizio ai festeggiamenti dei nostri primi 35 anni, oggi vogliamo raccontare la forza delle emozioni che stanno dietro le nove medaglie conquistate dai nostri atleti domenica scorsa e dietro tutta la lunga, interminabile fila di medaglie conquistate e dietro quella, ancora più lunga e interminabile, di medaglie perdute. Perché sulle pagine sportive arriva, e con fatica, solo la conquista di un titolo, come quello di Vice Campionessa Mondiale di Lina Lin in Argentina nel 2010 o quello di Campione Italiano della società nel 2012 o nell’ultimo anno sportivo i titoli di Campioni Italiani della squadra maschile cadetti, composta da Federico Pupi, Niccolò Pernié e Badar Salvemme, ma nell’anatomia del nostro agonismo hanno tanta, fondamentale importanza i titoli che non si è riusciti a conquistare.
Dal lontano settembre 1979 la Polisportiva Arti Marziali accoglie giovani e adulti e li avvicina al karate. Bambini troppo timidi, bambini aggressivi, studenti fuori sede, adulti scoordinati, a nessuno viene negata la possibilità di provare, di mettersi in gioco, di imparare, di sentirsi migliore. Nel lungo elenco dei titoli conquistati e perduti restano impigliate tante storie, molte tristi, alcune vincenti, tutte intense e piene di magia.
Questo strano, eterogeneo gruppo di varia umanità si scruta, si incontra, si trova antipatico o simpatico, miscela il proprio sudore con quello degli altri, fa sua la paura degli altri, ne assaggia la volontà e l’entusiasmo, prova invidia per l’altrui bravura e si stupisce, nei momenti di pausa, della strada percorsa senza rendersene conto, imparando a provare per se stesso e per gli altri stima e rispetto.
Tutto questo si chiama allenamento e per raccontarlo tutto bisognerebbe moltiplicare per trentacinque le centinaia di atleti che ogni anno entrano ed escono dalla porta dello spogliatoio. Non basterebbero altri trentacinque anni per dare spazio a tutti e non c’è una storia più importante delle altre da scegliere per rappresentarlo.
L’allenamento è guidato da tecnici che per vivere fanno altri mestieri e, per garantire il meglio ai propri atleti, impiegano il tempo libero, quello in cui non ci sono gare, per allenarsi, studiare, formarsi e migliorare. Lo devono ai propri atleti, quelli stessi che spesso, con spensierata incoscienza si scusano per non essere andati in palestra perché … dovevano studiare storia, incontrare la fidanzata, fare la spesa, guardare i cartoni animati …
Il tecnico lo sa e, se a volte lo coglie lo sconforto perché il suo sforzo di prepararsi e preparare un allenamento adatto a tutto il suo eterogeneo gruppo è spesso frustrato dall’apparente disinteresse di uno o più dei suoi allievi, più spesso sopporta ed accetta che i suoi atleti sono dilettanti, non ricevono compensi per il loro impegno e spesso non condividono la sua stessa dedizione, il suo stesso entusiasmo, non ancora, almeno.
L’allenamento ha molte finalità, alcune personalizzate, altre comuni a tutti, ma quella che più coinvolge in termini emotivi è senza dubbio l’esperienza di gara, quella dopo la quale il gruppo si trasforma in squadra.
La gara entusiasma e fa paura, mette in mostra qualità nascoste che non riescono ad emergere in palestra, inibisce esuberanze, esalta e ridimensiona. I tecnici della PAM, da trentacinque anni, sanno e credono che è in gara che l’atleta cresce, non necessariamente per diventare un agonista di alto livello, ma anche soprattutto per maturare come persona capace di affrontare al meglio la vita che ha scelto.
Le opportunità di gara sono per tutti, ciascuno può trovare la competizione adatta al proprio livello di forma e di preparazione tecnica e ciascuno può impegnarsi ad affrontarla al massimo delle proprie capacità.
In gara si impara a non mostrare paura, si sopportano con pazienza i lunghi tempi di attesa del proprio turno e ci si gioca tutto in una manciata di secondi, ci si sostiene a vicenda, si soffre e si gioisce insieme. Si rientra gonfi di entusiasmo per la propria vittoria o abbattuti per aver sbagliato, così stanchi da non aver voglia di tornare ad allenarsi o così carichi da non vedere l’ora di provare in palestra quel che si è intuito nella competizione, di confrontarsi sulle scelte fatte e sul giudizio arbitrale ricevuto.
Non ci sono telecamere né flash di fotografi, nelle gare di karate, raramente a premiare sono personaggi illustri, nel lungo calendario di gara annuale sono poche le gare che ricevono spazio nelle cronache sportive e ancor meno in quelle nazionali. Il karate non ha spazio nel panorama olimpico e il pubblico è fatto solo di familiari e amici, compagni di squadra e tecnici indaffarati. A volte la cronaca locale dà spazio a notizie di atleti e società che sembrano aver compiuto imprese straordinarie, molto più spesso i titoli più prestigiosi non trovano spazio neppure in un trafiletto.
Chissà in quante redazioni l’ennesimo comunicato dopo l’incontro della domenica avrà suscitato commenti distratti di redattori inesperti della materia karate, che non rendono giustizia all’impegno di chi, in quella sfida c’era e si era messo in gioco fino in fondo.
Noi non tiriamo calci al pallone, non scateniamo folle di supporter, da noi le medaglie piovono raramente e i titoli si conquistano con fatica, le storie personali degli atleti non interessano il gossip, non ci sono sponsor, soldi ne girano pochi e soltanto in uscita, eppure portiamo con noi, con orgoglio, il nome della nostra città e della nostra terra e facciamo in modo che se ne parli con rispetto e ammirazione.
Oggi, però, chiediamo un po’ di spazio per ricordare tutti gli atleti, bravi e meno bravi, che una volta soltanto o per un tratto hanno portato la loro medaglia o conquistato un titolo nel lungo elenco di questi trentacinque anni.
Oggi non vi offriamo i nostri titoli, le nostre medaglie d’oro e d’argento, ma le nostre lacrime e le gocce del nostro sudore, come perle preziose a cui non siamo capaci di rinunciare.

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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