Riprendersi la politica, la buona politica. Smetterla una volta per tutte di delegare le decisioni importanti, tornare a essere punto di riferimento della gente comune, delle persone perbene, del popolo che vuole essere amministrato correttamente. Non aveva detto questo Matteo Renzi il giorno dopo la sua elezione a segretario del Pd? Non solo. Renzi aveva detto di più: “In questo Paese siamo giunti al punto che i politici combinano un pasticcio con la legge elettorale e sono poi i giudici della Corte costituzionale a imporci di cambiarla. Oppure: è sempre un giudice a dirimere la disputa su ‘stamina’ (cure sì, cure no), nel momento in cui la politica se ne lava le mani”. Solo due esempi su decine, centinaia. Dunque riprendiamoci la politica, la buona politica.

E invece che ti fa Massimo Cialente? Continua a delegare e chiama un magistrato, lo fa vice sindaco, gli affida compiti di controllo e di legalità non soltanto sulla ricostruzione post sima, ma sull’intero sistema urbanistico cittadino, sulla gestione degli appalti e delle committenze.

Con tutto il rispetto per Nicola Trifuoggi, magistrato di sinistra (dunque schierato), supporter di D’Alfonso (ieri) e di Cialente (oggi), giudice inflessibile (com’è giusto che fosse) sulle le vicende della sanitopoli abruzzese (Ottaviano Del Turco e il suo entourage prima in galera e poi condannati), inquisitore della giunta di Montesilvano, con tutto il rispetto, si diceva, per questo giudice e le sue inchieste, chiediamo a Cialente: non esisteva all’Aquila una persona perbene in grado di portare la città fuori dal pantano, utilizzando la politica, la buona politica?

Cialente, è evidente, ha preferito la scorciatoia. Ossia voltare pagina chiamando accanto a sé un magistrato e lo ha messo a guardia di settori delicati e importanti della vita cittadina. Come dire: “State attenti, ora c’è chi vi controlla”. Un’ammissione di responsabilità politica rispetto al passato, ma anche una scorciatoia, appunto, in questo gioco a ‘guardie e ladri’ che, messo così, è discutibile e ferisce l’orgoglio degli aquilani. Che non sono (e qui siamo d’accordo col sindaco) tutti disonesti, perché le mele marce si contano sulle dita di una mano. Ma l’aver abdicato alla buona politica a favore di un controllo di legalità ‘speciale’, rischia davvero per far passare L’Aquila per la ‘città del magna magna’, espressione colorita, ma fasulla, perché gli aquilani sono persone oneste e perbene.

 

 

 

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