Racconta Buccio di Ranallo nella sua “Cronica” nel 1360, ‘Erano tre faccende in quilli tempi da fare, et tucte necessarie, che non se poteano innutiare, de vennegnare le vigne, pistare, sfiorare la soffrana, arare et seminare.Sin dal 1294, anno in cui salì al trono papale Celestino V, il re Carlo II D’Angiò con un decreto permise all’Aquila di imporre ed esigere  imposte sullo zafferano, che permisero successivamente di edificare le chiese di San Berardino e quella di San Domenico, due capolavori della nostra città , indice della prosperità a cui era giunta.

Poi nel 1818, si legge in un documento della famiglia Ciolina che commerciava questo “oro rosso,” ‘la coltivazione dello zafferano è diminuita a 4.000 Kg, si pratica ancora quasi unicamente nel circondario dell’Aquila! Da qualche anno, con la grande crisi che attanaglia il nostro Paese, molti sono i giovani che provano, anche se con piccole quantità, a coltivare “la soffrana” ma non di rado capita che rimanga nei ripostigli delle proprie case, invenduta, per cui ne deriva lo scoraggiamento a proseguire.

La stessa cosa capita anche a chi, con una produzione maggiore, è iscritto alle cooperative, lunghi mesi d’attesa prima che il prodotto venga venduto e magari nel frattempo, non si hanno i soldi per la benzina dei mezzi agricoli. Nel territorio aquilano abbiamo centinaia di ettari di terreno potenzialmente adatti a questa coltivazione, ma non abbiamo la capacità di penetrare nel  mercato nazionale e internazionale che pure c’è.

Le istituzioni locali preposte a valorizzare lo zafferano dell’Aquila, di nota e indubbia qualità, come anche i famosi fagioli di Paganica ed altri prodotti di nicchia, poco riescono a fare affinchè si possano incoraggiare i tanti giovani disoccupati. E’ ormai prossima la fiera dei Santi che ha radici lontane, la cui più antica segnalazione risale al 1678, riportata sul libro mastro della Parrocchia. Anche in questo caso una fiera nota da secoli anche oltre i confini dell’Abruzzo, man mano è andata scemando, ormai da anni è diventata come il mercatino del venerdì con qualche bancarella in più, anche in questo caso le istituzioni preposte nel tempo, non hanno fatto assolutamente nulla affinchè mantenesse quell’importante ruolo da sempre avuto.

Chi non ha perduto la memoria della tradizione per la Fiera di Ognissanti, sono le migliaia di persone che comunque vengono a Paganica, se non fosse altro per ritrovarsi  davanti a un panino con la porchetta, un bicchiere di vino e rinsaldando con uno sguardo e una stretta di mano quell’antica amicizia, “sospesa” a causa del terremoto del 6 aprile che ci ha sparpagliati ovunque.

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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