L’AQUILA – Il terremoto dell’Aquila del 1703, conosciuto come il Grande Terremoto, è stato un insieme di eventi sismici verificatisi nell’alta Valle dell’Aterno e nell’intera parte settentrionale della Provincia dell’Aquila durante l’anno 1703.

La scossa distruttiva si verificò il 2 febbraio del 1703, giorno della Candelora, e si stima che abbia avuto una magnitudo momento di 6,7 causando devastazioni del X grado della Scala Mercalli; L’Aquila venne praticamente rasa al suolo, con danni gravissimi per quel che riguarda il patrimonio artistico e architettonico del capoluogo abruzzese, e le vittime furono oltre 6.000.

La sequenza di terremoti del 1702-1703 rappresenta uno dei più grandi disastri sismici per estensione geografica ed entità delle distribuzioni; in pochi mesi nell’area settentrionale dell’Abruzzo e nell’Umbria meridionale vennero registrate almeno cinque scosse di intensità superiore al VII grado della Scala Mercalli, di cui due distruttive, l’ultima delle quali colpì L’Aquila.

Inizio della sequenza sismica

Già sul finire del Seicento alcune violente scosse cominciarono a tormentare L’Aquila e ad osteggiare la ripresa economica del capoluogo che veniva da due secoli di dominazione spagnola e da una terribile epidemia di peste; in particolare si ricorda il terremoto dell’aprile 1646, raccontato nel Trattato di Filippo da Secinara e di intensità stimata nel VII grado della Scala Mercalli, e quello del giugno 1672, entrambi avvenuti nell’area tra Amatrice e Montereale.

Lo sciame sismico in questione cominciò, con ogni probabilità, all’inizio del 1702 con eventi strumentali; il primo grande evento si verificò il 14 ottobre 1702 in un’area al confine tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, vicino l’abitato di Norcia, ed ebbe una magnitudo momento di 5,2.

L’evento venne avvertito in tutto il centro Italia, Roma compresa, come testimoniato dalle numerosissime corrispondenze con cui si riportano anche i danni subiti dalle città prossime all’epicentro. Un altro evento, della stessa magnitudo e con epicentro simile, avvenne il 14 novembre 1702

La scossa del 14 gennaio

Dopo alcune settimane di quiete, il 14 gennaio 1703 venne registrato un nuovo violentissimo terremoto nella zona tra Amatrice e Montereale, all’estremità settentrionale della provincia aquilana. Il sisma, che si stima che abbia avuto una magnitudo momento di 6,8 causò devastazioni del XI grado della Scala Mercalli e fu, per intensità, il maggiore tra gli eventi della sequenza sismica.

Gli 800 morti di Montereale

Il sisma devastò Montereale, provocando 800 morti su un totale di circa un migliaio di abitanti, e causò gravissimi crolli e morti anche ad Accumoli, Amatrice, Antrodoco, Borbona, Cascia, Cittareale, Leonessa e Norcia. All’Aquila il terremoto causò gravi lesioni nelle case e crolli nelle chiese (distrutte le facciate delle chiese di San Pietro di Sassa e San Quinzano) ma non vi furono morti. Il 15 gennaio venne organizzata una processione di penitenza.

Due giorni dopo, il 16 gennaio, un’altra forte scossa colpì l’Alto Aterno causando nuovi crolli soprattutto all’Aquila dove caddero le torri campanarie delle chiese di Santa Maria di Roio e di San Pietro a Coppito, già pesantemente lesionate dall’evento precedente

La scossa del 2 febbraio 

Il 2 febbraio del 1703, giorno della festività della Purificazione di Maria e del connesso rito della Candelora, l’ennesimo terremoto si verificò a nord della città dell’Aquila distruggendo quasi completamente il capoluogo abruzzese e causando forti danni in tutta la regione. Il sisma, che ebbe una magnitudo momento di 6,7 ed un’intensità del X grado della Scala Mercalli, si verificò poco prima di mezzogiorno e pertanto sorprese i fedeli radunati nelle chiese per le celebrazioni liturgiche.

Alcune centinaia di persone si trovavano in quel momento nella chiesa di San Domenico dove si concedeva una comunione generale quando le capriate del tetto cedettero seppellendo i presenti. Bisogna considerare che la diocesi dell’Aquila era in quel momento priva di un vescovo poiché la carica di Ignazio Della Zerda, morto nel 1702, era stato affidata temporaneamente ad un vicario; mancò dunque una guida (come fu quella di Amico Agnifili nel terremoto del 1461) che evitasse l’assembramento di una gran quantità di gente negli edifici ecclesiastici

Altri crolli gravissimi si ebbero nella basilica di San Bernardino, ove rimasero in piedi solo il coro, la facciata e le mura laterali, e nella cattedrale di San Massimo, oltre che nelle chiese di San Filippo, San Francesco e Sant’Agostino. Alla scossa principale, per ventidue ore ne seguirono altre durante le quali la terra esalava pessimi odori e l’acqua dei pozzi cresceva e gorgogliava a causa dei gas. In totale L’Aquila contò circa 2.500 morti, 800 nella sola chiesa di San Domenico, cioè circa un terzo della popolazione ma il terremoto fece vittime anche nelle città vicine per un bilancio totale di oltre 6.000 decessi

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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