L’AQUILA – Rinunciare a candidare Roma alle Olimpiadi 2020 è stato l’esito di una decisione sicuramente ragionata, ma che non ha permesso di guardare la questione nella giusta prospettiva.

Infatti nessuno ha messo in discussione la bontà del progetto, neanche il presidente Monti, che non ha firmato proprio perché, paradossalmente, avevamo la “quasi” certezza di vincere.

Se il progetto era “buono”, lo erano anche le cifre che lo accompagnavano (redatte dalla “Commissione di compatibilità economica” presieduta da Marco Fortis).

Il rapporto prevedeva una crescita cumulata del Pil nazionale pari a 17,7 miliardi di euro nell’arco temporale 2012-2025, pari a un aumento dell’1,4% rispetto al 2011. Un incremento che avrebbe coinvolto in particolare le regioni del centro Italia, con una crescita stimata intorno al 4%, con una media annua di nuovi occupati di 12mila unità, con un picco di 29 mila solo nell’anno 2020.

Una occasione, questa, negata anche alla nostra città, perché L’Aquila avrebbe giocato un ruolo ufficiale. Un ruolo sancito proprio dalla presenza del sindaco Massimo Cialente durante la cerimonia in cui fu presentata la candidatura.

Ogni paragone con la Grecia non tiene perché loro hanno impegnato nei giochi il 3 per cento del pil, noi avremmo investito appena lo 0,3.

Il tutto appare ancora più paradossale se si pensa che Tokio, nonostante la catastrofe del 2011, appare come una delle candidature più accreditate.

 

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