L’AQUILA – Un altro artista aquilano conquista un luogo d’elezione, qual è il complesso del Vittoriano. Negli spazi espositivi che l’Altare della Patria custodisce nel suo seno approda Franco Angelosante, con 25 opere che descrivono il suo poliforme percorso artistico, una sintesi sufficientemente narrativa del suo eclettismo, della spiccata propensione alla ricerca e alla sperimentazione pittorica. Sarà dunque una tappa importante per l’artista, con un’impegnativa Personale nella Sala del Giubileo che dal 18 novembre prossimo resterà in esposizione fino al 14 dicembre. Promossa dall’Associazione Culturale Methafora e allestita da Comunicare Organizzando, la mostra “Spazio e Volume. Metafora contemporanea e technology art” gode del patrocinio della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici d’Abruzzo e della Guardia di Finanza, Gruppo Tutela del Patrimonio Archeologico. Il 18 novembre, alle ore 18, l’inaugurazione della mostra. L’evento è curato da Cristina Bettini, con Francesco Giulio Farachi e Massimo Rossi Ruben dei cui contributi critici s’avvale l’elegante e corposo catalogo pubblicato da Cangemi Editore.

Franco Angelosante è una persona di grande affabilità, per quanto riservato possa apparire, ma senza quelle supponenze e quei tratti di bizzarra alterigia che talvolta una certa genìa d’artisti ostenta, nelle apparenze, nei gesti e nelle relazioni interpersonali. Nulla di tutto questo inquina la bonomia e la gentile discrezione di questo artista versatile, raffinato e sensibile, la cui vena creativa palesata assai precocemente ha accompagnato man mano negli anni la ricerca e sperimentazione, nel colore e nello stile intesi al plurale, che oggi formano la sua cifra. Franco Angelosante è nato nel 1957 a L’Aquila, dove vive e lavora. L’infanzia e l’adolescenza rivelano la sua spiccata propensione per la creatività artistica, la naturale dimestichezza per i colori. La sente innata come passione vitale, motivazione esistenziale, la ragione stessa d’una formazione assidua e volontaria, praticamente autodidattica. I primi passi li compie con un percorso che si nutre ogni giorno nello studio dal vero della figura umana e del paesaggio. A soli 13 anni la sua prima mostra, nella hall d’un albergo aquilano. Quasi un imprinting di quella che sarà la sua vita. Con un impegno e un’applicazione senza risparmio, conquista man mano, insieme alle conoscenze della storia dell’arte, la padronanza nell’uso del colore, delle tecniche e delle forme espressive. A metà degli anni Settanta, attratto dalla pittura metafisica dei Morandi, Carrà, Savinio e sopra tutto De Chirico, inizia un singolare percorso pittorico dove i richiami a quel movimento artistico e a talune espressioni surrealiste costituiscono gli elementi di base per perfezionare la sua tecnica, l’esplorazione continua di nuovi orizzonti creativi, mentre costituisce un consistente corpus di pregevoli opere che avvertono radicamento e ispirazione a quelle tendenze espressive.

Quasi due decenni d’approfondimento sul magma avanguardistico del Novecento italiano accompagnano l’artista in un intenso viaggio lirico-recitativo che fin dagli anni Ottanta conosce notevole apprezzamento, consensi e numerosi riconoscimenti di rilievo istituzionale. Proprio nel tracciato delle transavanguardie Angelosante definisce una sua singolare connotazione nel rappresentare con rara capacità di suggestione il movimento, nelle masse antropomorfe come nelle individualità, che trova l’acme d’espressione nei dipinti a tema agonistico e sportivo. Di particolare richiamo le tele che s’ispirano al rugby, disciplina che con L’Aquila è intimamente connaturata, nello spirito sportivo e persino nell’indole della sua gente. All’alba del terzo millennio Angelosante inizia ad occuparsi di scienza applicata all’arte, realizzando straordinari polimaterici ed installazioni d’astrazione cosmica e futuristica, intrisi da un profondo interesse per il trascendente. Nel 2005 l’artista riscrive il proprio manifesto, votandosi alla Technology Art ed avviando la produzione di opere dominate da un certo meaning metafisico, qualificate dall’utilizzo di componenti elettroniche coniugate alla personale passione per l’astronomia. L’esposizione d’una sua opera nell’ambito delle manifestazioni culturali correlate al Summit G8, tenutosi all’Aquila in Luglio del 2009, dischiude all’artista le porte della critica e dell’establishment culturale, conferendo a Franco Angelosante notorietà internazionale.

Ma veniamo ora alla mostra di Franco Angelosante allestita al Vittoriano. Nella grande Sala del Giubileo, situata nel lato destro dell’Altare della Patria (ingresso da via San Pietro in Carcere), l’esposizione conta 25 opere, dipinti su tela e tavola, polimaterici e istallazioni. L’assortimento delle opere, secondo la scelta dell’artista e dei curatori della mostra, è certamente in grado di mostrare al meglio l’universo artistico del Maestro abruzzese. “Spazio e Volume. Metafora contemporanea e technology art” il titolo dell’esposizione. Spazio e Volume sono due elementi correlati della nostra esperienza, essenza e misura dell’umana percezione dell’esistente. Nella produzione di Franco Angelosante acquistano una fisicità modellabile che l’artista utilizza per creare la scomposizione dei piani fisici e dei campi visivi sia interni sia esterni alle realizzazioni. Il lavoro di Angelosante si fonda su una tecnica personalissima che coniuga la pittura con l’impiego di materie diverse e con l’inclusione nelle opere di congegni di illuminazione e movimento. Così le creazioni sono a metà strada fra il quadro, la scultura, l’installazione. Di conseguenza la visione si arricchisce di altre e più significative suggestioni: dalla vibrazione luminosa, alla mutevolezza dinamica, allo sbalzo prospettico e plastico.

Franco Angelosante definisce la propria maniera di creare Technology Art, in quanto la tecnologia dei materiali, quella delle applicazioni e degli strumenti, quella delle luci e dei flussi di energia entrano a far parte dell’opera d’arte come componenti essenziali e costitutivi, non aggiunte o variazioni alle tecniche tradizionali d’espressione artistica, ma termini di una vera e propria nuova forma di linguaggio. E come nuovo linguaggio, la Technology Art è il modo più avanzato e coerente di rendere compiutamente il senso del contemporaneo, è cioè la forma espressiva meglio in grado di tradurre, e quindi di far comprendere, i dubbi, le paure, i problemi, le contraddizioni, gli errori, ma anche la capacità di bellezza, le ambizioni, i desideri alati, il genio e l’ingegno dell’uomo di oggi. L’esposizione segue il filo d’un percorso che l’artista ha delineato per collocare i suoi lavori all’interno di questo ambito e momento così ben individuati e caratteristici. In tal senso, l’evento è stato pensato come l’articolarsi d’una rappresentazione, realizzato quindi come un’opera ulteriore e a sé stante. La presenza dei polimaterici, delle rappresentazioni di atmosfere extra-terrestri e surreali, dei sistemi elettronici e cibernetici, delle visioni spirituali e mistiche, disegna lo spazio, definisce i volumi, apre dimensioni d’infinito.

Si diceva del corposo Catalogo – 160 pagine – che documenta la mostra, pubblicato da Cangemi Editore. Curata ed efficace la selezione delle opere, notevole l’apparato critico. ” Come è evidente a chiunque abbia una frequentazione anche superficiale della produzione artistica degli ultimi decenni – scrive Francesco Giulio Farachi nella nota critica in catalogo – Franco Angelosante si distingue assolutamente dalla maggior parte degli altri protagonisti dell’arte contemporanea. La sua diversità sta intanto nella autonomia e nella distanza, vorremmo dire caparbia, da scuole, movimenti, correnti, mode; ma poi soprattutto nell’invenzione di un procedimento creativo che è diventato cifra espressiva personale e distintiva. Le opere dell’artista abruzzese nascono da una felice intuizione tecnica e poetica, in cui si miscelano senso della esecuzione demiurgica e attenzione di fronte ai grandi temi della contemporaneità: da una parte cioè opera una sfida intima con i mezzi e le materie del “fare” che l’estro dell’artista conduce e conforma lungo i sentieri della fantasia, delle emozioni, delle personali fascinazioni; dall’altra, si manifesta un’esigenza ferrea a ricercare i ritmi del presente, a interpretare i grandi temi dell’esistenza attraverso le chiavi – immaginative, conoscitive, identificative – della contemporaneità. (…)

Angelosante – annota ancora Farachi – attraverso la contaminazione del dipinto e della rappresentazione con la meccanica degli elementi e l’elettronica dei congegni, ragiona la complessità del contemporaneo, racconta l’avventura umana come il comporsi, spesso risolto, spessissimo irrisolto, di tutte le tensioni che oggigiorno su quell’avventura agiscono. E ovviamente sono le tensioni che dirigono i cambiamenti e gli adattamenti fra l’uomo, il suo corpo, il suo pensiero e il mondo esterno. Sono le tensioni che agiscono in un tempo come quello attuale, caratterizzato dallo sviluppo tecnologico e dalla velocità di scambi e innovazioni che tale sviluppo consente, e che pure impatta su aspirazioni, paure e desideri, su stati d’animo e di relazione che risalgono i millenni di formazione della coscienza dell’uomo. La tecnologia altro non è che estensione degli “attrezzi” fisici e cognitivi con i quali l’uomo si relaziona con il mondo, è l’insieme delle “protesi” che permette di accrescere le capacità del corpo, ma anche di dilatare le facoltà culturali, spirituali, analitiche. Ma tanto il progresso tecnologico consente questa espansione, tanto al tempo stesso la condiziona e la uniforma. Con l’accelerazione così repentina e invasiva degli ultimi decenni, l’equilibrio fra aspetti positivi e aspetti negativi si fa sempre più incerto, sempre più problematica diventa la prospettiva con cui l’uomo considera sia il circostante che la propria interiorità”.

“Quella che Angelosante definisce Technology Art – afferma inoltre Farachi – allora non è maliziosa applicazione spettacolare di effetti, espressione di un mero valore stilistico orientato alla suggestione percettiva. Invece la connessione fra ardita ingegneria delle materie, impressione visiva e pensiero che scruta e ordina il fondarsi di ogni equilibrio formale diventa l’occasione e il dispositivo per lanciare uno sguardo sensibile sul modo con il quale l’uomo oggi si ambienta nell’universo, su come lo va pensando e su come lo agisce. Il confine fra realtà naturale e realtà artificiale, fra ambito fisico e territorio dell’immaginario, fra condizionamenti esteriori e ricerca intima di verità viene interamente ripercorso con questi lavori, che non sono quadri, installazioni, sculture, ma veri e propri congegni di mobilità e illuminazione, apparecchiature della fantasia per sondare la consapevolezza del presente. La percezione artistica è il sistema di transizione che aiuta a scuotersi dalla distraente contingenza, e a trasferire sul presente reale e nel futuro qualcosa che appartiene profondamente all’uomo e che nell’uomo stabilmente risiede, la qualità della sua anima, della sua razionalità come delle visioni mitiche e utopiche, della sua brama di riscatto e salvezza”. (…)

Ancora altre efficaci argomentazioni critiche apporta Francesco Giulio Farachi per lumeggiare efficacemente l’interiorità e la densità dell’arte di Franco Angelosante, specie in quella garbata e nondimeno costante ricerca del trascendente nelle sue opere. “Franco Angelosante riesce a far percepire la contiguità fra l’infinito fisico dello spazio cosmico, quello creativo delle realizzazioni umane, quello spirituale della dimensione del divino e del sacro. Dagli scenari extra-terrestri, puntinati di led e profondi di distanze incolmabili, si passa agli ambiti umani, fulgenti di elettricità ed esorbitanti di connessioni. Sul medesimo giro di parete, la perfezione spettacolare dei cieli stellati si raggruma in congetture di umanità, sempre in bilico fra l’utopia e la velleità. Metropolis, Genesi e Clone, fra le altre, sono l’infinitezza dei paradossi umani, e sono anche quello stesso universo di stelle e galassie, e universo d’intelligenza, che si osserva e si reinventa, che prova a pensare sé stesso. E infine, la grande Croce. Occupa ogni prospettiva questo infinito dell’anima, punto ed estensione che rende stabile la fitta rete di correlazioni fra tutte le opere, e insieme autonomamente riflette la coscienza di una realtà inquieta e complessa, contraddittoria. È il mistero che incalza la dimensione immanente del reale”. Non resta che attendere con interesse l’apertura della mostra di Franco Angelosante, pittore abruzzese di grande sensibilità: una visita al Vittoriano permetterà di conoscere ed apprezzare il suo contributo di valori e d’emozioni attraverso i segni e le espressioni del suo talento artistico.

Per concludere, solo una breve annotazione sul Vittoriano, monumento certamente noto, ma del quale sovente sfuggono origine e particolarità. Alla morte di Vittorio Emanuele II, nel 1878, si decise d’innalzare un complesso monumentale al Padre della stagione risorgimentale e dell’Unità d’Italia. Al bando di concorso per l’idea progettuale 98 furono le proposte, tra le quali la commissione reale, all’unanimità, scelse quella del giovane architetto marchigiano Giuseppe Sacconi. S’ispirava ai grandi complessi classici, come l’Altare di Pergamo e il santuario della Fortuna Primigenia in Praeneste, l’attuale Palestrina. Il monumento fu pensato come un Foro aperto ai cittadini, realizzato in una sorta di agorà sopraelevata nel cuore della città antica e imperiale, simbolo dell’Italia unita dopo la Roma dei Cesari e dei Papi. Dal 1885, tre anni furono necessari solo per gli espropri e le demolizioni nelle adiacenze del Campidoglio, quindi per la demolizione d’un vasto quartiere medioevale a ridosso di Palazzo Venezia che si completò nel 1928 con l’abbattimento della seicentesca Chiesa di Santa Rita, situata ai piedi della Scalinata dell’Ara Coeli, poi riedificata nei pressi del Teatro Marcello. L’assetto urbanistico dell’area cambiò radicalmente. La statua equestre di Vittorio Emanuele II, fulcro del monumento, realizzata dallo scultore Enrico Chiaradia, fu completata da Emilio Gallori. Nel 1905, con la morte di Sacconi, i lavori proseguirono sotto la direzione di Gaetano Koch, Manfredo Manfredi e Pio Piacentini. Il complesso monumentale venne inaugurato da Vittorio Emanuele III il 4 giugno 1911 in occasione dell’Esposizione Internazionale per il Cinquantenario dell’Unità d’Italia. Il complesso del Vittoriano, in perfetto stile neoclassico, interamente ricoperto di marmo bianco Botticino e costruito con tecniche avanzate per l’epoca, celebra la grandezza e la maestà di Roma, eletta al ruolo di legittima capitale d’Italia, rappresentando l’unità del Paese e la libertà del suo popolo.

 

 

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Registrazione Tribunale dell’Aquila n.560 del 24/11/2006 – PI 01717150666

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